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Nell'Acetaia dei Pedroni rivive l'Antico Blasone dell'Aceto Balsamico Tradizionale di Modena

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Parlare, oggi, dell’aceto balsamico tradizionale dei Pedroni vuol dire riandare nel tempo alla ricerca di consuetudini e di procedure che sono giunte fino a noi conservate nella stessa famiglia, di generazione in generazione, con gelosa passione.

Inevitabile quindi il volgersi indietro per verificare quanto di genuino è rimasto ancora oggi dell’antica loro consuetudine all’acetificazione “balsamica”.

E proprio per procedere con ordine fisseremo ora la nostra attenzione sulla materia prima scelta per la confezione del “balsamico”, sull’uva e precisamente su quella “Trebbiano di Spagna” ritenuta, fin dagli antichi tempi,uva di grandissimo pregio.

Una scelta quindi, quella dei Pedroni, precisa, meditata.

La memoria di questo vitigno riaffiora precisa nel ’600. Dal Paese d’origine si chiamò “di Spagna”, importata e messa a dimora in queste terre incontrò “habitat” favorevole e d’allora racconta la sua favola di profumi e di zuccheri.

Fu merito del duca di Modena, Francesco I° d’Este che nel 1638, di ritorno dalla Spagna, si portò appresso, oltre all’onorificenza del “Toson d’Oro”, un centinaio di barbatelle di un vitigno di cui aveva gradito oltremodo il prodotto finale: un vino bianco vivace, profumato e sapido che gli aveva ricordato il familiare “Trebbiano” del colle e del piano dei suoi domini in Italia.

Ne volle tentare il trapianto e la cosa riuscì.

Lo battezzarono subito “Trebbiano di Spagna”. Provenivano, quelle barbatelle, dalla zona più prestigiosa della Spagna enologica. Dalla zona dello Jerez, e precisamente (vedi destino) dal comune di Trebujena.

Questo “Trebbiano” fece miracoli. Di alto tenore zuccherino, grappolo irregolare nella forma e nell’acinatura, aveva caratteristiche tali da imporsi immediatamente.

Un solo difetto, ma grave, ne compromise poi la sopravvivenza: estremamente debole nella reazione alle malattie, non assicurava mai la continuità produttiva.

Dopo la seconda guerra mondiale si può dire che questo vitigno abbia finito d’esistere nella provincia di Modena. Tuttavia qualche “isola” ancora resiste. Tra queste, vero documento storico, un fazzoletto di vigna a Rubbiara di Nonantola. Italo Pedroni la eredita dagli avi assieme alla vecchia Osteria. In lui rivive l’atavica passione per l’aceto balsamico e quindi comprende quale importanza abbia, per l’acetaia familiare, quella vigna, piccola vigna, in parte disastrata, ma autentica, che allunga i suoi vetusti tralci appena fuori la finestra di casa. Così la riprende, la cura, la rivitalizza. Addirittura riesce lentamente anche un po’ ad ampliarla e con quell’uva continua a fare un favoloso mosto cotto, alimento principe per le sue botticelle e per il progetto balsamico.

In sequenza quel mosto, che ha la dolcezza del cielo e la consistenza meditata della terra trova dimora negli antichi “vaselli” che curiosamente già i “padri” avevano selezionato nella loro essenza: rovere e castagno. Un binomio che trova ampia giustificazione nel perfetto risultato finale. È questa infatti un’acetaia “pluridecorata” nei rigorosi concorsi annuali indetti dalla Consorteria spilambertese per il riconoscimento del miglior “balsamico” prodotto nell’area degli antichi domini estensi e pure s’allinea nella direzione di quel preciso gusto personale, di quelle scelte particolari che ogni produttore sente d’adottare nell’accurata conduzione della propria acetaia, identificando anche sotto quest’aspetto lo straordinario fascino del “balsamico”, nella misura in cui ciascuno lo sente proprio per quegli accorgimenti particolari tramandatisi gelosamente nella stessa famiglia di generazione in generazione.

Acetaia Grande

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